Menarini Pills of Art: Storia di Lucrezia di Filippino Lippi

Ci troviamo a Firenze, nella sala di Ulisse della Galleria Palatina in Palazzo Pitti, dove Olivera Stojovic ci accompagna alla scoperta di un’opera giovanile di Filippino Lippi: la storia di Lucrezia.

Il dipinto rappresenta il mito romano di Lucrezia ed insieme alla Storia di Virginia di Filippino al Louvre, di analoghe dimensioni e stile, ha suggerito che fossero in origine fronti di un cassone nuziale. Il forte contenuto politico delle vicende delle due eroine, simboli di rivolta contro la tirannide e l’ingiustizia, ha fatto anche però ipotizzare che le due tavole fossero entrambe destinate ad arredare le pareti di una sala di un palazzo fiorentino.

Il mito
La storia di Lucrezia era molto in voga nella Firenze rinascimentale, in quanto esempio di virtù civica, dove la tragedia privata diventa atto pubblico e dove la propria vita viene messa da parte per salvare la reputazione e il nome della propria famiglia.
Lucrezia, moglie fedelissima e casta del politico Lucio Collatino, venne violentata dal figlio dell’ultimo re di Roma, Sesto Tarquinio, al quale aveva dato ospitalità in assenza del consorte. La donna denunciò a suo padre, Spurio Lucrezio Tricipitino, la violenza subita e si suicidò per salvare il proprio onore e quello della famiglia. Dopo questo episodio il popolo romano si ribellò al re Tarquinio il Superbo, dando vita alla Repubblica.

L’opera
Il dipinto, eseguito a tempera grassa su tavola, che esprime un’intensa carica emotiva, sintetizza la storia di Lucrezia in tre episodi, ricordati dallo storico romano Tito Livio.
Nella parte sinistra, Lucrezia, già deceduta, viene portata fuori dalla sua dimora da un gruppo di uomini. Al centro, in una piazza romana, è raffigurato il funerale della donna, mentre sulla destra è presente un uomo a cavallo, identificato con Lucio Giunio Bruto, che inciterà il popolo romano alla rivolta contro il re Tarquinio il Superbo, ponendo fine all’era monarchica. 

Il racconto è suddiviso, anche a livello figurativo, in tre zone, cadenzate da edifici cubici alle estremità e dal porticato centrale, che inquadrano le scene classicamente definite e ritmate nelle forme. I colori caldi e chiari degli indumenti si alternano a tonalità più scure, creando un gioco di luci ed ombre. 

È un’opera giovanile di Filippino, che nel 1472, all’età di quindici anni, era entrato nella bottega di Sandro Botticelli, tanto che è a quest’ultimo che fu attribuita la paternità dell’opera, seppur precocemente corretta. Due opere di Botticelli, con i soggetti di Lucrezia e di Virginia, sono stati comunque indicati come prototipi, a cui Filippino si è ispirato nelle tavole di Pitti e del Louvre. 

La prossimità alle opere del suo maestro induce a ritenere che Filippino abbia dipinto la tavola di Lucrezia intorno al 1475-1478, prima del suo intervento nella Cappella Brancacci all’inizio degli anni ottanta.
Seppur con qualche impaccio prospettico, l’opera mostra un’intensità emotiva, priva di retorica ma con struggente malinconia, ben visibile nei volti e nelle pose sofferenti dei personaggi, riflettendo quel forte senso di ammirazione che era vissuto dal popolo fiorentino verso le gesta dell’eroica Lucrezia.

 

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