Menarini Pills of Art: Ritratto di Pietro Aretino di Tiziano

Ci troviamo a Firenze, nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti, dove Oliviera Stojovic ci accompagna alla scoperta di uno dei capolavori di Tiziano, il Ritratto di Pietro Aretino.

Ritratto di Pietro Aretino di Tiziano

Il dipinto testimonia uno dei sodalizi più famosi tra un letterato e un pittore: il committente, Pietro Aretino, uno degli intellettuali più acuti e geniali dell’Italia del Cinquecento e Tiziano Vecellio, massimo esponente della pittura veneziana.

Grazie ad Aretino, Tiziano entrerà in contatto con le più importanti corti italiane ed europee, diventando anche el pintor primero (ossia il pittore ufficiale) dell’imperatore Carlo V.

Il ritratto racconta molto del suo protagonista, che Ariosto definì “flagello de’ principi”. Aretino godeva di ampia stima dei principi del Rinascimento, ma era anche molto temuto per i suoi scritti, dissacranti e corrosivi, sulle opere dei pittori e soprattutto sulla vita di corte, mostrandone le contraddizioni e le meschinità.

Tiziano dipinse anche altri ritratti di Aretino, ma questo di Palazzo Pitti è stato considerato l’unico in cui l’artista colse con grande immediatezza i tratti salienti del temperamento intellettuale e morale del protagonista.

Il pittore ritrae un uomo fiero, in postura di tre quarti, il cui sguardo intenso ed indagatore si rivolge lontano, non verso lo spettatore. La sua corporatura massiccia, avvolta in uno sfarzoso manto rosso e con catena d’oro al collo, rivela il suo stato di agiatezza materiale.

La rapida resa pittorica del ritrattato, in cui però risaltano le pieghe del prezioso manto, illuminato da pennellate sciolte che conferiscono alla figura una reale fisicità, è un perfetto esempio della tecnica del colorismo veneto. Anche in quest’occasione, Aretino non poté fare a meno di esprimere, seppur in tono amichevole, la sua disapprovazione rispetto alla tecnica abbozzata, che Tiziano aveva usato nel suo ritratto, dipinto a Venezia prima di partire per Roma. In una lettera al duca Cosimo I de’ Medici, a cui il letterato donò il quadro nel settembre del 1545, disse che forse, se avesse pagato di più il pittore, la resa sarebbe stata migliore.

 

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